AULA DELLO SPIRITO - OSPEDALE MEYER FIRENZE
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Il nuovo spazio della preghiera al Meyer

 

Dopo cinque anni di discussione, progettazione e lavoro, è stato inaugurato il 17 novembre il nuovo spazio di preghiera dell’Ospedale Meyer, alla presenza dell’Arcivescovo di Firenze Mons. Giuseppe Betori. Si tratta più esattamente di uno ‘Spazio dello Spirito’ ecumenico ed inter-religioso, con aree distinte per celebrazioni sia cattoliche che protestanti, ma anche islamiche ed ebraiche, il tutto realizzato da due maestri fiorentini, l’architetto d’interni Gianluca Soldi e l’Artista Filippo Rossi, secondo un progetto unitario concordato tra le diverse comunità religiose. 

L’innovativa idea fu proposta alle comunità ebraica, cattolico-romana, ortodossa, riformata e islamica dalla stessa Direzione dell’Ospedale nell’ultima fase dei lavori sulla nuova sede a Careggi. Seguì una serie d’incontri in cui - su richiesta dell’allora arcivescovo, il Cardinale Ennio Antonelli - chi ora scrive ha rappresentato la parte cattolica, condividendo con gli altri rappresentanti di comunità sia l’emozione che le difficoltà implicite in questo sogno.  Scopo delle riunioni era infatti, prima, di capire ciò che la Direzione del Meyer desiderava, e poi valutare come meglio realizzarlo. 

Consapevole del ruolo dello spirito nel processo di guarigione fisica, nonché dell’esigenza dei sofferenti e familiari di speranza, forza interiore e consolazione, il personale medico del Meyer voleva configurare un luogo adatto alla preghiera personale e alle celebrazioni collettive. Trattandosi di un ospedale per bambini e ragazzi, voleva inoltre suggerire l’universalità dell’esperienza traumatica di malattia come di quella della guarigione, a prescindere da differenziazioni etniche, sociali e religiose. In una situazione demografica in rapido cambiamento, com’è la nostra, voleva soprattutto assicurare ai pazienti e familiari non-cattolici un’apertura concreta ai loro bisogni spirituali.

Da parte loro, i rappresentanti delle comunità religiose, mentre accoglievano con entusiasmo la proposta ne hanno evidenziato alcuni limiti. Ognuno ha sottolineato l’unicità teologica della propria fede e l’impossibilità di liturgie comuni; molti insistevano sulla funzione identitaria dei segni e suppellettili particolari della loro tradizione; per la parte cattolica, si è anche aperto un dialogo chiarificatore con i responsabili della Pastorale Sanitaria Diocesana. 

Le soluzioni pratiche concordate da tutti i soggetti interlocutori nascono da queste discussioni, essendo la loro traduzione plastica e visiva suggerita da Soldi e Rossi, gli stessi che nel 2005 realizzarono la nuova cappella del reparto della maternità dell’Ospedale di Careggi; come in quel progetto, anche al Meyer lo spazio disponibile era al piano seminterrato.  In fondo a un largo corridoio d’accesso culminante in una fontana, gli architetti del Meyer avevano predisposto un grande vano circolare illuminato da una lucerniera; a destra e sinistra di chi entra si aprivano spazi secondari, pensati sin dall’inizio come ‘cappelle’.

 Queste cappelle che si sviluppano dall’area centrale sono destinate, rispettivamente, a Cattolici romani e ortodossi (quella a destra di chi entra) e a Ebrei e Mussulmani (quella a sinistra). Il grande spazio circolare sotto la lucerna diventa un’area comune, con sedute che possono essere orientate ora verso la cappella cristiana, ora verso quella degli Ebrei e Mussulmani, a seconda l’esigenza; una parete scorrevole di forma curva può chiudere queste cappelle, permettendo celebrazioni più intime al loro interno. A cappelle chiuse, anche lo spazio centrale diventa un luogo separato, destinato a celebrazioni della Parola per i cristiani riformati.

Tra gli arredi, di particolare bellezza è il crocifisso realizzato da Filippo Rossi per la cappella cattolica: una croce in legno lavorato e antichizzato di altezza intorno ai 1,90 metri e larga quasi 1,50 metri. Questa croce, spaccata nel mezzo con un unico colpo d’ascia, rivela al suo interno un’anima ed una forma nuova: un’asta, realizzata a foglia d’oro con un taglio sulla destra. I bordi delle due metà della croce sono stati bruciati e consumati dal fuoco. Riecheggiando le forme medievali delle crocifissioni del Due-Trecento, essa è stata realizzata con diversi pannelli di legno “antichizzato” a mano, attraverso un processo lungo e laborioso, che ha previsto lo sfaldamento delle fibre in più punti con catene e strumenti percussivi.

L’asta centrale, perfettamente levigata, è stata ricoperta da due strati di foglia d’oro a tonalità diversa e presenta una notevole fessura laterale dipinta in rosso scarlatto, poggiante su un pannello dipinto in denso nero acrilico. Quest’elemento ricoperto di foglia d’oro rappresenta la misericordia divina che scaturisce da Cristo immolato, diventando luce e vita nuova per chi crede in lui. L’asta centrale, luminoso fuoco d’amore, “brucia” e “consuma” l’agonia della croce, spaccandola, aprendola. 

All’altezza del cuore della croce c’è un volto del Cristo in visione frontale, come un’icona: un volto rielaborato da un Cristo in gloria del maestro fiammingo cinquecentesco Mabuse. Nella sua opera lo stesso Mabuse rielaborava però un altro volto di Cristo, quello anche allora celebre del polittico di Gand di Jan e Hubert Van Eyck—il Cristo parato da Alto Sacerdote e posto sopra l’Agnello Mistico adorato dai santi. Il volto sulla croce di Rossi, che coincide con la testa del celebrante quando questi è all’altare, così fa del Signore sofferente e glorioso l’unico celebrante della liturgia che lo rende realmente presente nell’Eucaristia. 

 

*Mons. Timothy Verdon è Direttore sia del Centro Diocesano per l’Ecumenismo e il Dialogo Inter-religioso e dell’Ufficio Diocesano dell’Arte Sacra della Diocesi di Firenze 

 

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